mercoledì 18 febbraio 2015

Pure Morning

 
Parole strozzate in gola.
Tanto per cambiare.
Cosa c'è che non va?
Cosa cazzo c'è, adesso, che non va?!
Se solo lo specchio la smettesse di urlarmi addosso.
Non c'è niente che non va.
Davvero.
Sorriso di plastica.
Banale quanto le parole per dirlo.
Le parole sono solo parole.
Non possono nulla.
Sono solo segni su uno schermo.
Segnali acustici in mezzo ad altri segnali acustici.
Rumore su altro rumore.
Interferenze nel pensiero.
Quello che dico non sarà mai quello che penso.
Per quanto mi sforzi di essere fedele.
Mancheranno sempre i colori.
C'è qualcosa che si perde nel passaggio e comincio a credere che sia il senso.
Mattina.
Cammino veloce per strada.
Non sono in ritardo, ma è più forte di me, non riesco ad andare lenta.
Sono minuti preziosi comunque, quelli che guadagno arrivando presto dove devo arrivare.
Ma è veramente così o è solo un altro degli schemi mentali che ci vengono imposti nel corso di lunghi anni di addestramento all'uniformità?
L'illusione di avere più tempo.
Ma più tempo per cosa?
Quando la maggior parte delle tue energie vitali, mentali e creative viene risucchiata dall'insensato meccanismo di necessità fittizie in cui comunque sei finito incastrato.
Quando la parte viva del tuo tempo viene sacrificata sull'altare di un contesto che esige fette sempre più grosse della tua esistenza.
Quando il tempo che ti rimane è stato sistematicamente prosciugato di ogni potenzialità.
Decidi che è troppo.
Butti tutto all'aria.
Dai fuoco a tutto e ricominci da capo.
Ma quanto vantaggio puoi guadagnare prima che ti raggiunga di nuovo la schiacciante sensazione di una mancanza di senso?
Poco.
Sempre troppo poco.
Non c'è una reale via di fuga.
Ci dev'essere, da qualche parte, un modo per far quadrare il tutto.
Un modo per avere una visione d'insieme e, soprattutto un modo per capirla.
Ci dev'essere per forza.
Solo non l'ho ancora trovato.
Retrogusto di caffè.
Radio in sottofondo.
Luce che filtra dalle tende.
Non ha ancora deciso che tipo di giornata vuole essere.
Sole che, quando esce, promette già primavera ma non ha ancora voglia di impegnarsi seriamente.
Un calendario buffo appeso alla parete.
Un poster della mostra del 2009 su De Andrè.
Qualche citazione ricopiata e appiccicata.
Appunti.
Promemoria.
Roba di lavoro.
Pareti gialle.
Sfondo del desktop con un'immagine di Assassins Creed.
Non posso restare ferma a guardare davanti a me perché viene interpretato come un invito alla chiacchiera e mi viene riversato addosso qualcosa di cui non mi frega assolutamente un cazzo.
Annuisco.
Sono in una bolla.
Le voci mi arrivano ovattate.
E' tutto lontano.
Irreale.
Non finisce mai di sconvolgermi la naturalezza con cui la maggior parte delle persone infligge agli altri la propria esistenza.
Un continuo riversare sugli altri le proprie miserie quotidiane.
Qualcosa ti ha fatto credere che io avessi voglia di ascoltare il resoconto della tua serata?
E, se sì, cosa?
Biglietti colorati.
Telefono che squilla.
Certo.
Grazie.
Arrivederci.
Pensiero altrove.
Dev'esserci una chiave di lettura.
Ad un certo punto devo essermi distratta.
Dev' essermi persa qualcosa di fondamentale.
Smettila di guardarmi.
Davvero.
Non c'è niente che non va.